Manifesto

ROBOT12
"Borders"
di Marco Mancuso

Nel momento in cui riflettiamo su come le tecnologie siano ormai presenti nelle nostre vite quotidiane, siamo sempre più propensi a pensare non solo a come esse potrebbero essere usate in maniera più consapevole ed efficace, ma anche come modelleranno le nostre identità nei prossimi decenni. Il concetto stesso di futuro è radicalmente cambiato, vissuto non più come immaginario fantascientifico sostanzialmente irreale se non in un’epoca “altra”, quanto come un elemento temporale semplicemente “al di là” del presente contemporaneo. Il futuro è fatto di tecnologie che sono già nell’oggi, che già utilizziamo, che diventeranno sì più efficaci da un punto di vista strettamente funzionale, ma che avvicineranno e penetreranno in modo sempre più profondo i nostri corpi, influenzando, in modo forse definitivo, il nostro essere e la nostra stessa natura.

Gli effetti di tutto ciò si preannunciano importanti, in senso positivo e negativo, considerando da un lato l’impatto dello sviluppo tecnologico e della ricerca scientifica e medicale nel migliorare la qualità delle nostre esistenze e dei relativi servizi di cura, informazione e intrattenimento, dall’altro gli aspetti distopici di tale impatto legati all’utilizzo indiscriminato di dati sensibili, alle derive commerciali e propagandistiche di reti sempre più veloci e invasive, ai meccanismi di controllo biometrici e alle loro implementazioni grazie all’uso di sistemi di intelligenza artificiale, ai complessi processi di consapevolezza etica e sociale dei nuovi corpi innestati e aumentati e, più in generale, al progressivo cambiamento dei nostri meccanismi identitari, a cavallo tra reale e virtuale, nella società del futuro. Senza in questo cadere nell’errore di affidarci ancora alle visioni stanche e distopiche del post-umano o dell’immaginario cyborg, quanto considerando il corpo organico come un territorio di confine, costituito esso stesso di organi ed elementi che rimarcano una relazione di prossimità biunivoca con ciò che li circonda.

In un’epoca a suo modo storica e drammatica come quella che stiamo vivendo, testimone di un’umanità improvvisamente inerme nei confronti della natura e di altre specie viventi, tesa altresì a una crescente comprensione dell’espansione della propria corporeità nel rapporto con una dimensione ontologica di ambiente – la biosfera da “preservare”, le reti e i network da “coltivare” e le relazioni da “alimentare” – è forse tempo di rallentare e iniziare a esplorare nuovi confini fatti di eccitanti e ignote prossimità. Un’epoca complessa, difficile da mappare per chiunque, nascosta secondo le parole di Donna Haraway, che definisce “Chthulucene” questa nostra era fatta di connessioni fitte, invisibili, sotterranee, capaci di creare insospettate alleanze con il mondo organico e inorganico con cui entrano in contatto, in grado di alimentare il fuoco di nuovi approcci filosofici e nuove utopie e in cui l’arte e la musica ricoprono un ruolo fondamentale. Non solo e non più per la loro intrinseca funzione estetica e fenomenologica, quanto piuttosto per la loro deriva maggiormente legata a una dimensione ecologica, esperienziale e relazionale.

Se per Raymond Schafer una delle caratteristiche della nostra società è, ad esempio, l’esistenza di paesaggi sonori in grado di migliorare la qualità della relazione tra gli uomini e l’ambiente circostante, accrescendo il livello di coscienza delle esperienze uditive tramite l’educazione all’ascolto dei suoni in cui siamo quotidianamente immersi, allora ROBOT Festival intende proporsi quest’anno come una rassegna che richiede ai corpi di mettersi in gioco, di abitare gli spazi fisici e virtuali in maniera consapevole, suggerendo percorsi di mutazione di progetti musicali capaci di evolvere in risposta all’attuale situazione di emergenza, a indicare i confini da esplorare non solo (o non più) in senso geografico quanto piuttosto in misura organica ed emozionale. Confini che ci separano e che devono essere superati, che il festival vuole indagare in modo curioso, spostandoli un po’ più in là, chiedendo al suo pubblico di attraversarli insieme, per stupirsi di come forse le pratiche sonore e performative, quelle di ascolto e di condivisione, sapranno a loro modo regolare la complessità del mondo e degli ecosistemi, indicando un cambiamento verso un modello di sviluppo e di vita collettiva più illuminato e sostenibile.

 

English Version

As we reflect on how technologies are now present in our daily lives, we are increasingly inclined to think not only about how they could be used more consciously and effectively, but also on how they’ll shape our identities in the coming decades. The very concept of the future has radically changed, no longer experienced as a substantially unreal science fiction imaginary if not in an “other” era, but as a temporal element simply “beyond” the contemporary present. The future is made up of technologies that are already present, technologies we already use, which will become more effective from a strictly functional point of view, by penetrating our bodies and influencing, perhaps in a definitive way,  our being, our very nature.

The effects of all of this are expected to be important, in a positive and negative sense, considering on the one hand the positive impact of the technological advancements in scientific and medical research, which will improve the quality of our lives as well as our way to experience, information and entertainment. On the other hand, the dystopian aspects linked to these advancements, from the indiscriminate use of sensitive data, the commercial and propaganda invasiveness of social networks, the biometric control mechanisms and their incremental implementations thanks to the use of artificial intelligence, the complex processes of ethical and social awareness of the newly grafted and augmented bodies and more generally, to the progressive change of our identity mechanisms, between real and virtual live, in the society of the future.

Without falling into the false security of relying on the tired and dystopian visions of the post-human or the cyborg imaginary, but considering the organic body as a border territory, made out of organs and elements that underline a relationship of one-to-one proximity with what surrounds them. In an era that is historical and dramatic in its own way like the one we are living in, witnessing a struggling humanity that is suddenly defenseless towards nature and other living species, aimed at a growing understanding of the expansion of its own corporeality in the relationship with an ontological dimension, – the biosphere to be “preserved”, the networks to be “cultivated” and the relationships to be “nurtured” -, it is perhaps time to slow down and start exploring new borders made of an exciting and unknown proximity.

A complex era, difficult for anyone to map, hidden in the words of Donna Haraway, who defines this era as “Chthulucene”, made up of close and invisible underground connections, capable of creating unsuspected alliances with the organic and inorganic world with which they enter in contact, able to feed the fire of new philosophical approaches and new utopias and in which art and music play a fundamental role. Not only and no longer for their intrinsic aesthetic and phenomenological function, but rather for their link to an ecological, experiential and relational dimension.

If for Raymond Schafer one of the characteristics of our society is, for example, the existence of soundscapes capable of improving the quality of the relationship between humans and the surrounding environment by increasing the level of consciousness of auditory experiences through education, listening to the sounds in which we are immersed every day, then ROBOT Festival intends to present itself this year as a festival that requires bodies to get involved, to inhabit physical and virtual spaces in a conscious way, suggesting paths of mutation, of capable musical projects to evolve in response to the current situation, to indicate the borders to be explored not only in a geographical sense but rather in an organic and emotional one. Borders that separate us and that must be overcome; which the festival wants to investigate in an innovative way, moving those borders a little further, asking its audience to cross them together; to be amazed at how the sounds and performances, the listening and  sharing, will regulate the complexity of the world and ecosystems in their own way, indicating a change towards a more enlightened and sustainable model of development and collective life.

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